
Quello del 1989 sembrava un 17 novembre come tanti altri. Ricorreva la Giornata Internazionale degli Studenti. Ogni anno centinaia di liceali e universitari si riunivano per far valere i loro diritti e commemorare il sacrificio del giovane Jan Opletal e altri nove, tra studenti e professori, che il 17 novembre del 1939 furono uccisi senza processo per aver protestato contro l’invasione nazista della Cecoslovacchia.
Un’occasione solenne che mascherava la farsa: quei ragazzi erano tutti membri dell’Unione dei Giovani Socialisti, un’emanazione giovanile del Partito Comunista della Cecoslovacchia. Tra i loro ranghi militavano la maggior parte degli studenti dei licei e delle università.
Si, perché allora funzionava così: se si voleva sperare in un lavoro e in una carriera oltre quella universitaria, oltre quella da semplice operaio in fabbrica e magari, perché no, aspirare a qualche carica all’interno del governo, bisognava dimostrare fedeltà al Partito, e quale migliore dimostrazione di fedeltà se non la tessera dell’Unione?
Tuttavia, la tessera era solo un pezzo di carta e quel 17 novembre del 1989 ne diede prova al mondo intero.
I venti del cambiamento soffiavano da est e da ovest, rumorosi come non mai. In Polonia, Solidarność era stato riconosciuto legalmente come Partito d’opposizione. In Ungheria, la destituzione di János Kádár aveva aperto la strada a nuove riforme democratiche. A Berlino, il muro era caduto e la DDR si sgretolava.
L’URSS non intervenne, non ci furono i carrarmati né le truppe che marciarono su Praga nel biennio 68-69. Le riforme emanate da Gorbačëv nel 1986 avevano avviato un cambiamento che avrebbe travolto tutto il blocco comunista. La Glasnost’ ela Perestrojka, pensate per uscire dalla stagnazione dell’era Brežnev e far fronte alla crisi economica in cui versava tutta l’Unione Sovietica, si dimostrarono inefficienti. L’URSS aveva le sue gatte da pelare, non aveva tempo né mezzi per assicurare la stabilità dei paesi satelliti. I partiti comunisti del blocco orientale furono abbandonati in balia dei venti del cambiamento.
A Praga, quel 17 novembre del 1989, i giovani membri dell’Unione, forti della crisi in cui versava il Partito Comunista, si riunirono per gettare finalmente la maschera. Erano circa 15.000 e chiedevano reali diritti, una riforma del sistema scolastico, provvedimenti alla crisi economica, al basso tenore di vita, un futuro migliore, e manifestarono tutta la loro insofferenza ai dettami imposti dal Partito.
Dichiararono apertamente di aver vissuto nella menzogna, che loro, il comunismo, non lo supportavano e che erano stanchi di fingere. Via la maschera, via la tessera dell’Unione.
Il corteo, giunto sulla Národní verso le ore 19:00, fu caricato dalla polizia. Si scatenò il panico alla vista di un giovane per terra, immobile. Arrivarono le ambulanze. Il giovane, trasportato immediatamente in ospedale, era solo svenuto.
Il corteo si disperse, ma presto si diffuse la notizia che un altro manifestante, un certo Martin Šmíd, era morto sul serio. La notizia fu smentita, ma tanto bastò alle anime cecoslovacche per infiammarsi.
Il 18 novembre fu proclamato uno sciopero generale degli studenti ai quali si unirono gli attori di teatro. Proprio i teatri divennero infatti i luoghi di mille arringhe, dai palchi venivano annunciati altri scioperi e si denunciavano i crimini del Partito Comunista, i soprusi, l’inettitudine, il fallimento di una dittatura che doveva essere del proletariato ma che finì per schiacciare proprio coloro che essa voleva elevare. La Cecoslovacchia intera ascoltava e bruciava.
Nei giorni successivi, in quella che in futuro sarebbe diventata la Slovacchia, si moltiplicarono le manifestazioni di solidarietà agli studenti praghesi. Gli scioperi scoppiarono ovunque.
Il punto era uno e uno soltanto in tutto il paese: si chiedeva l’abolizione del governo monopartitico e ai comunisti di fare un passo indietro, anche due se necessario, pur di lasciare spazio alle nuove correnti di democrazia vera che soffiavano da ogni direzione.
Intanto, in un piccolo teatro nel quartiere della Città Nuova a Praga, il Činoherní Klub, un gruppo di intellettuali si preparava a guidare la rivolta. Il 19 novembre del 1989 fu istituito così l’Občanské Fórum (Forum Civico).
Era finalmente nato un partito d’opposizione.
Il licenziamento dei funzionari coinvolti nelle violenze contro gli studenti durante le manifestazioni, la libertá e la riabilitazione di tutti i prigionieri politici: queste le prime pretese del nuovo partito.
Come portavoce del Forum, una vecchia conoscenza del Partito Comunista, schedato dalla StB, la polizia segreta cecoslovacca, arrestato più volte per la sua intensa attività da dissidente, amato dal popolo per i suoi samizdat (pubblicazioni illegali di opere censurate dal regime e saggi sui temi dei diritti umani e della democrazia), leader e figura di spicco del movimento dissidente e intellettuale praghese.
Vaclav Havel

Il paese intero lo conosceva. Un leader calmo e riflessivo apprezzato da tutti e il cui nome era diventato sinonimo di speranza. Una speranza avvolta nel fumo delle decine e decine di sigarette che consumava senza interruzione, un fumo non fatto per nascondere, ma che era parte di un’immagine rassicurante e vera al contrario della nube emanata dal Partito e che i comunisti chiamavano “democrazia”, ma che di fatto nascondeva tutta la grigia burocrazia e la rigidità di un sistema che, nonostante i continui scioperi e le manifestazioni che da giorni infiammavano le strade cecoslovacche, non sembrava volersi piegare.
Intanto in Slovacchia, l’appoggio ai movimenti praghesi continuava e un altro leader emerse… per la seconda volta.
Alexander Dubček, ex segretario del Partito Comunista, destituito nel 1968 per le sue idee di democrazia e diritti civili, ideatore del Socialismo dal Volto Umano, figura di spicco della Primavera di Praga, tornò alla carica per combattere al fianco di Havel contro quel sistema che per decenni aveva oppresso lui e il suo popolo.
Dal 21 novembre, il Forum Civico si scatenò. Fu organizzata a Praga la prima grande manifestazione guidata da Havel e dai suoi, alla quale fecero seguito altri cortei in tutto il paese.
Affacciato al balcone dell’Hotel Melantrich, in Piazza Venceslao, Havel e i membri dell’Občanské Forum, raggiunti intanto da Alexander Dubček, incitarono la popolazione a non arrendersi, a non lasciare che il fuoco della rivolta si spegnesse, a riprendersi le chiavi del loro paese.
In risposta, il popolo iniziò ad agitare mazzi di chiavi in sostegno ad Havel e come gesto simbolico contro il governo.
Il Partito ricevette minacce di disordini e successive manifestazioni da parte di gruppi di lavoratori di altre città, in sostegno alla rivolta praghese.
La situazione era diventata incontrollabile per il Partito Comunista e fioccavano dimissioni da parte di diversi membri del governo, ciononostante la linea dura del Partito reggeva e non vennero fatte concessioni al popolo.
In tutta risposta, a Praga, le manifestazioni videro la partecipazione di più di 800.000 persone e il 26 novembre il Forum Civico, tramite il giornale Svobodné Slovo, il primo a distaccarsi ufficialmente dal controllo del Partito, mise nero su bianco le richiese del popolo:
- La Cecoslovacchia deve diventare uno stato indipendente e adottare una nuova Costituzione.
- Pluralismo, uguaglianza e diritti civili per tutti i cittadini e i gruppi politici.
- Il Partito Comunista deve abbandonare il ruolo guida.
- ingresso della Cecoslovacchia nell’Unione Europea.
- Istituzione di una rete di servizi sociali.
- Educazione libera senza influenze da parte di alcun partito e credo politico.
Il 29 novembre arriva finalmente la prima vittoria: durante un’assemblea federale, fu abolito l’articolo costituzionale sul ruolo dirigente del Partito comunista.
Il 30 novembre viene ufficialmente abolito l’insegnamento della filosofia marxista-leninista nelle scuole e il Partito Comunista viene costretto a rispondere dei crimini perpetrati durante la dittatura.
Il 10 dicembre, al Castello di Praga, le luci dell’ufficio di Gustáv Husák si spengono, l’ultimo presidente comunista della Cecoslovacchia si dimette, il Partito si arrende dopo ben 41 anni di dittatura.
Quando le luci dell’ufficio presidenziale si riaccendono, esse illuminano un volto nuovo, avvolto da spirali di fumo di sigaretta.
L’11 dicembre Vaclav Havel diventa ultimo presidente della Cecoslovacchia e sarà il primo della Repubblica Ceca. Rimarrà alla guida del paese fino al 2003. Morirà nel 2011.
La melodica voce di Marta Kubišová, una delle tante artiste censurate e condannate dal regime, e la sua fantastica Modlitba Pro Martu, viene trasmessa dai megafoni di tutta la città. La voce della Kubišová, finalmente libera di cantare le sue melodie al mondo, divenne il suono della libertá. Il suo é l’inno commovente che pone fine a quella che passerà alla storia come Rivoluzione di Velluto.
Il boato delle proteste, degli scioperi, dei cortei e infine della vittoria, tutto tacque in un attimo, ciò che oggi rimane è la figura calma e rassicurante di un leader come Havel, la dolcezza di una canzone che ancora oggi ogni 17 novembre riecheggia tra le antiche strade di Praga e un popolo finalmente libero in un paese finalmente democratico.
Praga – 09/11/2022
Paolo Mazzeo